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Splanchnic thrombosis: thrombotic risk is greater than haemorrhagic one


Treatment of splanchnic thrombosis is challenging and anticoagulant therapy can frighten the clinician due to the associated bleeding risk, often linked to the coexistence of esophageal varices or thrombocytopenia.



Splanchnic thrombosis is defined as thrombosis involving the portal vein, the mesenteric vein, the splenic vein or the supra-hepatic veins.

The incidence is 25 times lower than for venous thrombosis of the lower limbs and is mainly associated with liver cirrhosis, cancer or myeloproliferative neoplasms. Less common causes are abdominal inflammation or infections, pregnancy or estrogen-progestogen therapy, but some remain idiopathic. 1/3 of cases is an occasional finding.


A recent meta-analysis of 97 studies showed a favorable out-come in terms of vessel recanalization after anticoagulation therapy on nearly 8000 patients, without an increase in major bleeding.

Patients were treated for an average of 8 months and the follow up was over two years.

Half of the patients were cirrhotic, 1/3 had myeloproliferative neoplasm and 1/4 had solid cancer.

Half of the patients were treated with warfarin, 40% LMWH, 10% with DOAC.


The following are the main comparative outcomes in treated patients versus controls:


-58% recanalization of splanchnic vessels versus 22% (RR 2.39)

-5% progression of thrombosis vs 15% (RR 0.24)

-11% recurrence of VTE vs 14%

-9% major bleeding vs 16% (RR 0.73)

-11% mortality vs 25% (RR 0.45)


In conclusion, anticoagulant therapy for visceral thrombosis is associated with good venous recanalization and low probability of thrombosis progression.

The risks of recurrence of thrombosis and major bleeding in both anticoagulated and untreated patients are not negligible: even if there is no significant increase in major bleeding in the course of anticoagulant, we have not yet found the optimal therapeutic strategy in these patients, where we have to navigate between Scilla and Cariddi.




Italian Version


Trombosi Splancnica: il rischio trombotico è maggiore di quello emorragico.


Il trattamento della trombosi splancnica è impegnativo e la terapia anticoagulante può spaventare il clinico per il rischio emorragico associato, legato alla compresenza spesso di varici esofagee o piastrinopenia.

Si definisce trombosi splancnica la trombosi che coinvolge la vena porta, la v mesenterica, la vena splenica o le vv sovra-epatiche.

L’incidenza è 25 volte inferiore rispetto alla trombosi venosa degli arti inferiori e si associa principalmente a cirrosi epatica, cancro o neoplasie mieloproliferative. Cause meno comuni sono la infiammazioni o infezioni addominale, la gravidanza o la terapia estroprogestinica, ma un quota resta idiopatica. 1/3 dei casi è un riscontro occasionale.


Una recente metanalisi di 97 studi ha evidenziato un favorevole out-come in termini di ricanalizzazione del vaso dopo terapia anticoagulante su quasi 8000 pazienti, senza un incremento delle emorragie maggiori.

I pazienti sono stati trattati per una media di 8 mesi e il follow up è stato di oltre due anni.

Metà dei pazienti erano cirrotici, 1/3 presentava un neoplasia mieloproliferativa e ¼ avevano un cancro solido.

Metà dei pazienti sono stati trattati con warfarin, il 40% EBPM, il 10% con DOAC.


Di seguito gli esiti principali di confronto nei pazienti trattati rispetto ai controlli:


-58% ricanalizzazione dei vasi splancnici versus 22% (RR 2.39)

-5% progressione della trombosi vs 15% (RR 0.24)

-11% recidiva di TEV vs 14%

-9% sanguinamento maggiore vs 16% (RR 0.73)

-11% mortalità vs 25% (RR 0,45)


In conclusione, la terapia anticoagulante per trombosi viscerale è associata a buona ricanalizzazione venosa e bassa probabilità di progressione della trombosi.

I rischi di recidiva di trombosi e sanguinamento maggiore sia nei pazienti anticoagulati che in pazienti non trattati non sono trascurabili: anche se il non c’è un aumento significativo di emorragie maggior in corso di anticoagulante, non abbiamo ancora trovato la strategia terapeutica ottimale in questi pazienti, dove dobbiamo barcamenarci tra Scilla e Cariddi.



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