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Vitamin D for Covid -19: another dead end?

Immagine del redattore: diego tonellodiego tonello

Aggiornamento: 22 feb 2021


Vitamin D3 appears to improve the function of macrophages and dendritic cells, improving the immune response, particularly for bacterial or viral infections of the respiratory tract.


The VITdAL-ICU study showed that the administration of Vit. D, while not modifying the average hospital stay, had an advantage in terms of survival in the subgroup of critically ill patients (it was however a secondary end-point).


From these premises the VIOLET study was born, which tried to demonstrate that vitamin D supplementation could reduce hospital mortality on a sample of 3000 patients. The study was interrupted early in the middle of enrollment due to the futility of the results.


All the studies that have evaluated vitamin D supplementation in primary prevention get inconclusive results.

A few small uncontrolled studies have suggested that vitamin D3 supplementation may have some utility in COVID 19 disease and this has led to a dramatic increase in prescribing worldwide.

The rationale would be there: antimicrobial and anti-inflammatory effect and overexpression action of the ACE-2 enzyme, which allows intracellular entry of COVID-19 (theoretically the paradoxical beneficial effect would be given by the increase in viral clearance).


A recent multicentric, randomized, double-blind, placebo-controlled study was conducted in Brasil.

240 COVID patients who required hospitalization in the medical ward without renal dysfunction, hypercalcemia or possible imminent transfer to ICU for invasive mechanical ventilation were recruited.

120 patients were treated with 200,000 IU of vit D3 within 36 hours of admission.

Half of the randomized patients had vitamin D deficiency (<20 ng / mL) and a quarter severe deficiency (<12 ng / mL) at randomization.

The treatment, which led on average to a doubling of the serum levels of Vit D3, did not change the length of hospitalization compared to placebo, nor the mortality, transfer to intensive care unit or the need for assisted ventilation.

With sample size limitations this study does not support routine administration of vitamin D in patients with COVID-19 infection, in line with other RCTs on hospitalized patients with respiratory infections and severe illness.

We can say little about its use in patients with mild COVID or in COVID infection prophylaxys.

This does not affect the need to supplement Vitamin D deficiency in populations at risk, after appropriate plasma dosage and according to medical prescription.

It is undeniable, however, that currently many patients take vitamin D supplements independently, without considering that once a certain dose (60-100 times the RDA) is exceeded, signs of toxicity may appear due to the resulting secondary hypercalcemia: nausea and vomiting, arterial hypertension, asthenia, restlessness and, chronically, calcification of the parenchyma (calciphylaxis).


Will we ever get our revenge back on Google.MD or Facebook.PHD?


Why have we lost the trust of our patients over time even though we spend our lives training and working for their health? Maybe we need to invest in our time to make them understand that we are on their side and maybe prescribe a little more some healthy and free outdoor walks on sunny days.








La Vit. D3 sembra migliorare la funzione dei macrofagi e delle cellule dendritiche, migliorando la risposta immunitaria, in particolare per le infezioni batteriche o virali delle vie respiratorie.

Lo studio VITdAL-ICU ha evidenziato una che la somministrazione di Vit D, pur non modificando i tempi medi di degenza, presentava un vantaggio in termini di sopravvivenza nel sottogruppo dei pazienti critici (era tuttavia un end-point secondario).

Da queste premesse nacque lo studio VIOLET, che cercò di dimostrare che la supplementazione di vit. D poteva ridurre la mortalità ospedaliera su un campione di 3000 paziente. Lo studio venne interrotto precocemente a metà dell’arruolamento per futilità dei risultati.

Tutti gli studi che hanno valutato la supplementazione di vit. D in prevenzione primaria hanno dato risultati inconcludenti.


Qualche piccolo studio non controllato ha suggerito che la supplementazione vit.D3 potrebbe avere qualche utilità nella malattia da COVID 19 e questo ha portato ad un incremento notevole della prescrizione a livello mondiale.


Il razionale ci starebbe : effetto antimicrobico e anti-infiammatorio ed azione di iperespressione dell’enzima ACE2, che permette l’ingresso intracellulare del COVID-19 (teoricamente l’effetto benefico paradosso sarebbe dato dall’incremento della clearence virale).


In Brasile hanno condotto in merito uno studio multicentrico, randomizzato, a doppio cieco, controllato con placebo.

Sono stati reclutati 240 pazienti COVID che hanno necessitato di ricovero in reparto medico senza disfunzione renale, ipercalcemia o possibile imminente trasferimento in terapia intensiva per ventilazione meccanica invasiva.

120 pazienti sono stati trattati con 200.000 UI dii vit D3 entro le 36 ore dal ricovero.

Metà dei pazienti randomizzati avevano un carenza di vit D (<20 ng/mL) e un quarto una carenza grave (<12 ng/mL) alla randomizzazione.


Il trattamento , che ha portato mediamente ad un raddoppio dei livelli sierici di Vit D3, non ha modificato la durata di ricovero rispetto al placebo, né la mortalità , il trasferimento in rianimazione o la necessità di ventilazione assistita.


Con i limiti delle dimensioni del campione questo studio non supporta somministrazione routinaria di vit.D nei pazienti con infezione da COVID-19, in linea con gli altri RCT su pazienti ospedalizzati con infezioni respiratorie e malattie gravi.

Poco possiamo dire dell’uso nei pazienti con COVID lieve o nella profilassi dell’infezione da COVID.


Questo non pregiudica l’indicussa necessità di supplementare la carenza di Vit.D nelle popolazioni a rischio di, dopo opportuno dosaggio plasmatico e secondo prescrizione medica.

E’ innegabile, tuttavia, che attualmente molti pazienti assumono integratori di vit D autonomamente, senza considerare che superata una certa dose (60-100 voltela RDA) possono comparire segni di tossicità dati dall’ipercalcemia secondaria che ne deriva: nausea e vomito, ipertensione arteriosa, astenia, irrequietezza e cronicamente la calcificazione dei parenchimi (calcifilassi).

Riusciremo mai a riprenderci la rivincita su Google.MD o Facebook.PHD?

Perché nel tempo abbiamo perso la fiducia dei nostri pazienti anche se spendiamo la nostra vita per formarci ed operare per la loro salute?

Forse dobbiamo investire in nostro tempo per far capire loro che siamo dalla loro parte e magari prescrivere un po’ di più qualche sana e gratuita passeggiata all’aperto nelle giornate di sole.



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Non è vero che abbiamo poco tempo.

La verità è che ne sprechiamo molto.

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Lucio Anneo Seneca

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