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Immagine del redattorediego tonello

Linee Guida CHEST su TEV e COVID-19: evidenze contro pregiudizi.

Siamo in un momento di incertezza economica, sociale e medica senza precedenti. Piccoli studi aneddotici o di coorte ci hanno emozionato e hanno generato ipotesi terapeutiche non prive di rischi. Il panel di esperti ci ricorda di essere cauti, di ragionare in modo critico e praticare la medicina basata sull'evidenza, liberandoci dai pregiudizi.

Ci sono prove emergenti che il COVID-19 possa portare ad una coagulopatia che nei casi più gravi evolve in coagulazione intra-vascolare disseminata. Non c'è da stupirsi: una tempesta citochinica in un paziente ospedalizzato per ARDS, a cui si aggiunge la stasi venosa polmonare indotta dalla CPAP. Tuttavia le evidenze favore vengono da studi osservazionali, retrospettivi, con gravi limiti, bias di selezione, dati spesso mancanti che rendono impossibile eseguire un'analisi aggregata.

Detto questo, un rischio di TEV è superiore all'1% ci fa accettare di buon grado il minimo rischio emorragico di una profilassi con EBPM a dosi standard

Le linee guida ci raccomandano, in sostanza, la profilassi antitrombotica con EBPM (es. enoxaparina 4000/die) in tutti pazienti COVID ricoverati gravi e critici, come un qualsiasi paziente ricoverato per uno stato infettivo acuto.

L'uso di eparina non frazionata è di seconda scelta, perché ha un rischio maggiore di HIT e obbliga il personale sanitario a più contatti giornalieri con il malato. Gli anticoagulanti diretti sono sconsigliati per le numerose interferenze farmacologiche, il rischio di rapido deterioramento clinico di questi pazienti che potrebbero avere necessità di essere sottoposti a manovre invasive e per l'alta incidenza di danno renale acuto. Di seconda scelta nei pazienti critici anche il Fondaparinux, per la sua lunga emivita e l'escrezione renale.

La terapia antiaggregante non ha evidenze nella prevenzione del TEV. Nè vi sono dati per giustificare un aumento del dosaggio di EBPM in assenza di altre indicazioni cliniche. Sappiamo ancora troppo poco sul rischio trombotico (e anche emorragico!) nei pazienti critici COVID.

Non è necessario integrare la profilassi con la compressione pneumatica intermittente, da riservare solo ai pazienti con controindicazioni alla terapia anticoagulante.

Non è raccomandato screening ecografico alla ricerca di TVP asintomatiche, ma dobbiamo tenere alto il sospetto clinico per TEV (es. in caso ipossiemia o ipotensione improvvise) e non fidarci del di-dimero che come in tutti i pazienti ricoverati è poco informativo.

La profilassi estesa dopo la dimissione non è raccomandata, per lo scarso rapporto rischio/beneficio.


I pazienti COVID che non richiedono ricovero non necessitano di profilassi del TEV.

Nei pazienti COVID gravi o critici con TVP prossimale o embolia polmonare si consiglia EBPM a dosi terapeutiche aggiustate per il peso o ENF se presente insufficienza renale. I DOAC possono essere utilizzati nei pazienti candidati a terapia domiciliare se non sussistono rischi di interazioni farmacologiche (es. antivirali, macrolidi, terapie sperimentali).

La trombolisi sistemica va riservata alla comparsa di segni di instabilità emodinamica (PAS <90 mmHg) e/o segni evoluzione verso lo shock (sudorazione algida, contrazione della diuresi, stato confusionale, ipossiemia, turgore giugulare) con disfunzione ventricolare destra ed incremento dei biomarcatori cardiaci dopo l'inizio della terapia anticoagulante. No alla trombolisi loco-regionale.


In caso di recidiva di TEV in costanza di terapia, si consiglia di passare a EBPM. Se il paziente era già in EBPM, aumentarne il dosaggio del 25-30%.

Moores LK, Tritschler T, Brosnahan S, et al. Prevention, Diagnosis, and Treatment of VTE in Patients With COVID-19: CHEST Guideline and Expert Panel Report [published online ahead of print, 2020 Jun 2]. Chest. 2020;S0012-3692(20)31625-1. doi:10.1016/j.chest.2020.05.559

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