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Terapia estesa del TEV: davvero sicura ed efficace?


Il tromboembolismo venoso è considerato una patologia cronica e il trattamento anticoagulante dopo la fase acuta sembra la scelta più opportuna per la maggioranza dei pazienti che hanno presentato un evento non provocato o secondario ad un fattore di rischio minore.

La decisione se estendere il trattamento anticoagulante deve valutare il rapporto tra il rischio di recidiva trombotica e il rischio emorragico, tenendo conto che è molto più facile morire per un sanguinamento maggiore che per una recidiva tromboembolica.


La prospettiva aperta dagli anticoagulanti diretti ha cambiato il rapporto rischio/beneficio e le indicazioni delle linee guida sono di mantenere il paziente anticoagulato praticamente per tutta la vita.

Queste indicazioni sono supportate anche dal fatto che il rischio di sanguinamento maggiore nei pazienti che proseguono la terapia anticoagulante dopo un primo episodio di TEV non provocato (o secondario ad un fattore di rischio minore) è sceso da 1.74 eventi/100 anni-persona con il warfarin a 1.12 eventi/100 anni-persona con i DOAC.


La maggior parte degli studi, tuttavia, ha confrontato la terapia in esteso per un massimo di un anno, e sarebbe necessario analizzare dati derivanti da un periodo più lungo.


Una ampia metanalisi (26 studi, 15.600 pazienti) ha valutato il rischio di recidiva di TEV ricorrente e di emorragia negli studi che presentavano un follow up di 5 anni.


Dall’analisi emerge che i pazienti con un precedente episodio di TEV che sospendono la terapia anticoagulante presentano un rischio di recidiva nel primo anno del 9%.

Esiste un rischio di recidiva in costanza di terapia anticoagulante, anche se molto basso (1.41/100 anni-persona, 0.09 embolie fatali/100 anni-persona), con un picco di incidenza nel secondo anno del trattamento.

L’incidenza di recidiva di TEV è risultata maggiore nei pazienti trattati con VKA rispetto a DOAC ( 1.55 vs 1.08/100 anni persona), mentre l’incidenza di embolia fatale è rimasta invariato tra i due gruppi (0.1 vs 0.09) nel primo anno di terapia in esteso.

Anche durante la terapia anticoagulante estesa a cinque anni l’incidenza cumulativa degli eventi di TEV non è stata trascurabile.

Questo apre scenari nuovi, in quanti spesso siamo scettici di fronte al sospetto di recidiva in corso di terapia anticoagulante ben condotta, certi di una protezione quasi totale della terapia.

In realtà , pur se basso (<2%) esiste un rischio di recidiva che resta sempre uguale nel tempo, mentre in assenza di anticoagulante questo rischio di recidiva tende a crescere negli anni.



E non stiamo parlando di pazienti con neoplasia o sindrome da anticorpi antifosfolipidi.


In assenza di anticoagulante esiste un rischio di sanguinamento pari 0.35% anno, che in un caso su 5 può essere fatale (0.09%).

Questo rischio aumenta con l’estensione della terapia anticoagulante, e diventa 1.74% anno con VKA e 1.12% anno con DOAC.

Il rischio di sanguinamento è maggiore nei pazienti anziani, con insufficienza renale ( Clearence creatinina inferiore a 50 ml/min), che hanno presentato un precedente sanguinamento, sono anemici (emoglobina inferiore a 10 g/L) o assumono terapia antiaggregante.



In un paziente su 10, il sanguinamento maggiore è risultato fatale, con rischio leggermente superiore per VKA rispetto a DOAC ( 8.3% vs 9,7%) .


E’ probabile che in queste categorie di pazienti i DOAC a dosaggio ridotto rappresentino l’opzione terapeutica migliore, ma potrebbe essere opportuno il dosaggio dell’attività plasmatica dei farmaci sia nel caso di recidiva tromboembolica che di eventi emorragici maggiori in costanza di trattamento anticoagulante ben condotto.










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